"I figli di genitori affetti da una malattia mentale hanno spesso un punto in comune. Si sentono responsabili della malattia dei loro genitori e si credono capaci e persino obbligati a soccorrerli. E' di un'importanza capitale smorzare questo senso di colpa e aiutarli a comprendere che non è loro responsabilità guarire i loro genitori. Inoltre, è cruciale supportare questi figli nella costruzione di una nuova maniera di pensare in cui sia loro permesso di sviluppare il proprio potenziale senza che ciò li porti a credere di stare abbandonando o tradendo i propri genitori. E' altrettanto importante incoraggiare questi figli a perseverare nelle attività che li valorizzano. In questo modo svilupperanno una maggiore stima di se stessi, che agirà come importante fattore protettivo per tutto il resto della loro vita".
Rebecca Heinisch*.Quando per la prima volta mi è caduto l'occhio sulla copertina di "Anna and The Sea" di Rebecca Heinisch, non ho potuto fare a meno di identificarmi subito con la bambina seduta sulla spiaggia, sola, mentre guarda l'orizzonte. E' passato un po' di tempo da quando, come lei ma molto più grandicella, anch'io ho cercato conforto vicino al mare, compagno e confidente silenzioso di giorni tumultuosi e laceranti. Quando niente, al di fuori di quelle acque scure e della salsedine, sembrava consolarmi. Anch'io, come la piccola Anna del libro, ho una mamma con disturbi mentali. E anch'io, troppe volte, mi sono sentita sola, senza i necessari strumenti di supporto per capire cosa stesse succedendo alla mia famiglia, a mia madre e a me. Mi tenevo tutto dentro e non trovavo risposte. Al loro posto, una corazza che, ben presto, oltre a proteggermi, ha finito per ingabbiare una parte preziosa di me, impedendole di donarsi al mondo e di esprimersi liberamente e senza paure.

Per questo oggi vi parlo con gioia e gratitudine del libro "Anna and the Sea" e della sua autrice, lei stessa figlia di una madre con disturbi mentali, che ha preso quella solitudine, quelle inquietudini e quei dubbi di bambina per trasformarli in preziosi strumenti che, oggi, aiutano migliaia di bambini in Canada e nel resto del mondo. Il libro è infatti disponibile in due lingue, inglese e francese, ed è ordinabile on line inviando una e-mail a annaetlamer@annaetlamer.com. Oltre al libro Rebecca Heinisch ha anche creato un Workbook, un Quaderno di Lavoro, con esercizi ed attività educative ed interattive per bambini di età tra i 7 e i 12 anni che nella loro famiglia hanno qualcuno che soffre di una malattia mentale. Anche quest'ultimo strumento è fortemente raccomandato per tutti coloro che sono intenzionati a conoscere nuovi metodi per contrastare il disagio in chi cresce con un genitore che ha un disturbo mentale.
Vi confesso che ho provato un'emozione incredibile quando ho avuto tra le mani il libro ed ho iniziato a sfogliarlo. L'ho letto tutto d'un fiato e, senza quasi accorgermene, le lacrime hanno iniziato a fluire, dapprima lente e silenziose, per poi crescere e culminare in un pianto dirotto, liberatorio. Per la prima volta ero davanti a uno strumento che, ad averlo avuto a disposizione da adolescente, avrebbe potuto alleviare fortemente il mio dolore e la mia solitudine e aiutarmi a superarli.

Il mio desiderio più grande è quello di riuscire a realizzare qualcosa di simile anche per l'Italia, nella nostra lingua. Uno degli sforzi maggiori è trovare finanziatori che credano nell'importanza di questo progetto e vogliano dare il proprio contributo perché tutto questo possa essere realizzato. Abbiamo un gran bisogno di tutto il sostegno e l'appoggio possibili. E' qualcosa che riguarda ciascuno di noi perché, come dice un famoso proverbio africano citato da Sandra Van Gameren nel suo libro, "ci vuole un villaggio per crescere un bambino". Come società non sarebbe bellissimo se ciascuno di noi potesse fare qualcosa di concreto, nel suo piccolo, per far sentire meno soli questi figli e le loro famiglie? Intanto, possiamo fare passaparola e far conoscere a più persone possibili strumenti preziosi come questo libro e iniziare a parlare sempre di più di questo tema, senza stigma e pregiudizio. Parlarne per rompere l'isolamento e aprirci all'accoglienza. Insieme, il carico da portare, sarà meno pesante!
Vi lascio con un'intervista, che ho realizzato a Rebecca Heinisch, per parlare insieme a lei del suo libro, della sua associazione no-profit e delle attività che da diversi anni conduce per formare, informare e creare consapevolezza sull'importanza di dare a tutti i figli di persone con disturbi mentali il sostegno necessario, per fare prevenzione e rispondere tempestivamente ai bisogni di questo gruppo particolarmente a rischio.
- Benvenuta Rebecca e grazie di cuore per aver accettato di essere intervistata riguardo ai tuoi libri e alla tua associazione. Prima di tutto vorrei chiederti: quando hai pensato, per la prima volta, di creare uno strumento per aiutare i figli di persone con una malattia mentale? Quando la tua esperienza personale come figlia di una madre affetta da un disturbo mentale si è trasformata nel desiderio di creare il cambiamento che era necessario nel tuo paese, il Canada?
La «scintilla del cambiamento» nella mia vita è scoccata nel 2000 quando a uno dei miei figli è stata diagnosticata una malattia mentale. Il profondo processo di lutto che avevo vissuto da bambina con una madre con problemi mentali è ricominciato da capo. Era impossibile per me in quel momento ignorare gli urgenti bisogni delle famiglie colpite dalla malattia mentale, ed è allora che ho deciso di dedicarmi ad aiutare i più vulnerabili: i figli dei malati psichiatrici. Queste tre esperienze di vita cui sono stata costretta (l’essere figlia di una madre malata di mente, l’essere madre di un figlio con una malattia mentale e l’essere insegnante di ragazzi che in famiglia vivono una sofferenza mentale) si sono combinate insieme diventando un potente catalizzatore che ha spinto la mia vita in una direzione completamente nuova. Da quel momento in poi, mi sono sentita costretta a cercare di portare un cambiamento per i bambini colpiti dalla malattia mentale di una persona cara.
- Quando, per la prima volta, sei andata in cerca di risorse che potessero guidarti attraverso il processo di portare avanti un cambiamento del sistema? Cosa ti ha aiutato di più?
Ho iniziato, prima di tutto, col prendermi un anno sabbatico dall’insegnamento, per poter ricercare i vari programmi, le risorse e le associazioni che esistevano altrove nel mondo e che stavano portando avanti un lavoro importante per i figli dei malati mentali. Avevo sentito parlare di Erica Pitman, un’australiana, che aveva creato il programma SMILES e perciò ho contattato inizialmente lei. E’ stata generosissima a condividere le proprie informazioni e mi ha offerto molti preziosi suggerimenti.
All’inizio di questo percorso il mio obiettivo primario era la letteratura per l’infanzia. Come insegnante ero arrivata a rendermi conto di quanto le storie possano influenzare i bambini. Sono un mezzo potente per veicolare importanti messaggi e lezioni di vita e il mio primo tentativo creativo è stato perciò scrivere un libro per bambini. Ho soprattutto utilizzato il web come primo strumento di ricerca e ho scoperto numerosissimi siti internet e risorse meravigliose esistenti in Australia, così come in Inghilterra e negli Stati Uniti.
- Hai mai avuto paura che il tuo coinvolgimento in questo campo, la tua decisione di condividere una parte importante della tua storia, potesse mettere a disagio la tua famiglia di origine? Se sì, come sei riuscita a superarlo e a portare avanti il tuo sogno?

Fortunatamente mio padre e mia sorella mi hanno sostenuta molto nel mio lavoro e mi hanno incoraggiata a continuare. Credo anche che questo abbia permesso loro di muoversi nella direzione di una maggiore apertura e guarigione.
La spinta maggiore è stata però, senza dubbio, la voce dei bambini con cui lavoravo; la loro testimonianza riguardo all’importanza del libro e del programma, così come l’essere io stessa testimone di quanto queste risorse stessero aiutando i ragazzi ad adattarsi, sono stati entrambi fattori incredibilmente potenti e motivanti, che mi hanno consentito di concentrarmi e continuare a perseguire i miei obiettivi.
- Mentre scrivevi il libro hai avuto bisogno dell’aiuto di uno psicologo per sviluppare una storia che avrebbe potuto promuovere al meglio la resilienza nei figli di genitori con una malattia mentale?
Sì e no. Non ho consultato direttamente specialisti in questo campo. Ho, però, condotto un’ampia ricerca sull’argomento in modo da afferrare gli aspetti più critici che questi bambini si trovano ad affrontare. Da questa base teorica e concettuale, e attingendo dalla mia personale esperienza vissuta, sono stata poi in grado di creare la storia.
- E’ stato difficile trovare finanziamenti e/o sponsor per creare il libro, data la natura particolarmente delicata dell’argomento e dato il fatto che i figli di genitori che soffrono di una malattia mentale sono troppo spesso invisibili?

- Qual era la situazione in Canada in quel periodo, è stato difficile spiegare alle persone che hai incontrato l’importanza di aiutare questi bambini, far capire alla gente il bisogno di una prospettiva nuova nell’affrontare la malattia mentale?
In Canada in quel periodo non c’erano associazioni che avessero come unica missione i figli di persone con una malattia mentale. In Quebec stavamo vivendo le conseguenze del movimento che aveva portato alla chiusura dei manicomi e che aveva lasciato molti pazienti psichiatrici alla deriva, senza programmi di supporto sufficienti a far fronte in modo adeguato ai loro bisogni. Come risultato le famiglie hanno sentito ricadere su di sé il peso del doversi prendere cura della persona cara. Sono nate dal basso associazioni per offrire un supporto agli adulti che avevano un familiare con un disturbo psichico e, nonostante si iniziasse a conoscere meglio l’impatto dell’avere una persona cara affetta da una malattia mentale, la condizione dei figli di malati psichici era praticamente non documentata e sistematicamente trascurata. Creare un ente legale che rispondesse ai bisogni di questi « figli invisibili » sembrò essenziale e nel 2006 ho fondato l’Associazione “Anna and the Sea”. Sensibilizzare l’opinione pubblica sulle necessità di questi bambini vulnerabili ha mobilitato molta della nostra energia, attenzione e risorse. Sono stati fatti dei progressi, ma c’è ancora tanto da fare per portare alla luce la profonda sofferenza che questi bambini vivono.
- Come hanno reagito le persone al libro quando è stato pubblicato per la prima volta? Ci sono state anche persone scettiche, che ritenevano che i problemi di salute mentale non fossero un argomento di cui discutere con i bambini? Hanno cambiato idea dopo aver letto il tuo libro?

Il libro è stato distribuito in molte scuole, grazie alla generosità della Fondazione Alcoa. Abbiamo ricevuto molte lettere dagli stessi ragazzi e, nella maniera schietta tipica dei giovani, hanno dato al libro un unanime « pollice in su »!
Anche operatori sociali, psicologi e altri specialisti hanno accolto caldamente questa nuova risorsa e hanno iniziato a richiedere informazioni aggiuntive in supporto al loro lavoro con famiglie in difficoltà alle prese con questi problemi.
Posso onestamente dire che non abbiamo incontrato scetticismo sul fatto di presentare questo argomento delicato ai bambini. Anche se molte persone tendono a sottovalutare la capacità dei ragazzi di comprendere temi complessi, la maggior parte sembra essere d’accordo che, a condizione che l’argomento venga presentato in una maniera appropriata all’età, è positivo per i bambini essere informati sulla malattia mentale.
- E come hanno reagito le istituzioni, i medici e la classe politica? Si sono mostrati sensibili al tema e sono stati d’aiuto nell’affrontarlo? Hai incontrato resistenze ad affrontare questo argomento a causa della paura che parlarne dal punto di vista dei figli potesse mettere in cattiva luce genitori affetti da un disturbo mentale?
Sono stati tutti molto aperti e sensibili all’argomento e non hanno manifestato alcuna resistenza particolare. Siamo stati spesso invitati a parlare a gruppi di operatori sociali, psicologi e terapisti psichiatrici occupazionali che lavorano con pazienti e famiglie. Anche le università e i college hanno mostrato grande interesse per l’argomento, invitandoci a parlare agli studenti per le seguenti aree di studio: educazione, psicologia, servizio sociale, medicina pediatrica e giurisprudenza.
- Come sei riuscita a creare l’associazione per poter portare avanti l’importante lavoro di sensibilizzazione e di organizzazione dei training per i professionisti? Quali sono state le difficoltà e quali i vantaggi?
Il primo, e fino ad ora il più importante, passo che ho compiuto nel fondare l’associazione è stato trovare le persone adatte a far parte del direttivo, un gruppo che fosse disposto a lavorare insieme per la causa. Ad oggi sono circondata da persone incredibilmente brillanti, un team di persone competenti e scrupolose che hanno preparato la strada per il successo grazie al loro duro lavoro e alla loro generosità. E’ stato davvero uno sforzo congiunto e, se Anna and the Sea continua ad esistere ancora oggi, è grazie alla dedizione di tutti i membri della squadra.
La nostra più grande sfida è stata ottenere finanziamenti periodici per le continue spese relative al portare avanti l’organizzazione. Nella nostra regione molte organizzazioni non profit competono per i sussidi e, anche se ciascuna causa è meritevole in sé, può nascere un disaccordo tra le differenti parti coinvolte. La situazione diventa molto gravosa e può essere estremamente arduo doversi confrontare in maniera continuativa con le politiche riguardanti i finanziamenti.
Un’altra difficoltà che ci troviamo ad affrontare è offrire una formazione continuativa per i diversi professionisti che hanno già precedentemente ricevuto un training e che hanno iniziato ad attuare il nostro programma nelle varie regioni. Stiamo al momento valutando diverse strade per offrire questo importante servizio.
Ci sono molti, molti vantaggi nell’aver creato un ente sociale (associazione) per poter portare avanti la missione a tre livelli della nostra organizzazione: 1) offrire un servizio ai figli di persone con malattia mentale, 2) sensibilizzare e 3) organizzare training rivolti ai professionisti.

Anche se la malattia mentale è una questione personale che tocca le persone e le loro famiglie in una maniera intima, è anche una questione molto sociale che richiede politiche e servizi su larga scala per poter far fronte alle necessità di queste famiglie. Aver costituito un’organizzazione dedicata a questi bambini ha contribuito ampiamente a sensibilizzare l’opinione pubblica sui problemi specifici che si trovano a dover affrontare questi ragazzi. Abbiamo ricevuto inviti a partecipare a eventi pubblici, parlare durante conferenze, apparire nei talk show, e così via. Abbiamo partecipato a diversi documentari che mettono in luce i bisogni di questi ragazzi e il modo in cui ci battiamo per colmare il vuoto che prima esisteva nei servizi destinati a loro.
Credo fermamente che il nostro essere un’associazione ci abbia molto facilitato nel processo di contribuire a sensibilizzare l’opinione pubblica. Non ci fossimo costituiti ufficialmente come organizzazione, non avremmo avuto tutte queste opportunità di parlare a nome di questi bambini.
- Quali sono stati i doni più grandi che hai ricevuto durante questo percorso ininterrotto per portare alla consapevolezza e all’accettazione?
Il regalo più grande che ho ricevuto è stato vedere i ragazzi inseriti nei nostri programmi diventare piano piano più resilienti. Stanno trovando la propria voce, si stanno aprendo sulle proprie esperienze, stanno scoprendo di non essere soli e stanno trovando la loro strada per superare le difficoltà. Questa è la ricompensa più grande, e che mi da’ una gioia immensa.
- Quest’anno, il 2014, “Anna and the Sea” celebra i 10 anni dalla sua prima pubblicazione. Innanzitutto, i miei più calorosi auguri per questo importante anniversario! Felice che la sincronicità ci abbia fatte collaborare per questa intervista proprio adesso! Quanto è cambiata la situazione per i figli di persone con una malattia mentale in Canada dal 2004? Cosa dovrebbe ancora essere fatto, secondo te?
A maggio del 2012, la Mental Health Commission del Canada ha emesso la prima strategia per la salute mentale in assoluto per questo paese, una vera e propria pietra miliare. Sono stata onorata di essere stata invitata a partecipare alle consultazioni previste prima della pubblicazione di questo documento e ho sentito come questo fosse un importante passo verso la sensibilizzazione sui bisogni dei figli di persone con una malattia mentale. Entro la cornice di questo documento finale, una volta pubblicato, molta attenzione era data all’importanza di ridisegnare le politiche per la salute mentale di bambini e adolescenti, ma c’erano scarsi, se non addirittura assenti, riferimenti all’importanza di un supporto per i figli di persone con un disturbo psichico.

Attualmente operiamo principalmente all’interno di un approccio compartimentato riguardo ai servizi per i pazienti psichiatrici e le loro famiglie. Ho spesso immaginato la realizzazione di un meccanismo di segnalazione sistematica attraverso il quale i medici che hanno in cura le persone con un disturbo psichiatrico possano automaticamente verificare coi loro pazienti se ci sono figli minori nel loro nucleo familiare e, se sì, segnalarli a programmi di supporto che si occupino di fare fronte alle loro difficoltà. C’è ancora così tanto da fare.
- L’Italia è ancora soltanto all’inizio del processo di sensibilizzazione riguardo a questi figli ancora invisibili. L’associazione Contatto Onlus di Milano, il “Progetto Camille” che coinvolge l’Italia oltre ad altri paesi europei, insieme a questo blog che gestisco al momento su base volontaria, stanno cercando di muovere i primi passi verso un cambiamento di sistema, ma abbiamo ancora una lunga strada da percorrere. Alla luce della tua esperienza, cosa suggeriresti possa essere fatto per fare in modo che la società e le istituzioni comprendano l’urgenza di creare risorse di supporto ai figli di persone con una malattia mentale?
E’ un ottima domanda, ed una che i miei colleghi ed io continuiamo a porci ogni giorno è: « in che direzione dovremmo andare, a partire da qui? …qual è il prossimo passo? ….quale dei nostri sforzi produrrà il maggiore impatto? …». Poiché navighiamo in un territorio inesplorato, queste domande sono sempre presenti nella nostra mente.
Vedo che sei molto impegnata e coinvolta nel portare un cambiamento in Italia per questi bambini a rischio e ti faccio i complimenti per le tue iniziative e per tutto il meraviglioso lavoro che stai facendo! Sono davvero grata per questa opportunità di collaborare con te e spero che la nostra cooperazione possa continuare in futuro perché, come hai detto così chiaramente nella tua recensione al libro: « Insieme, il carico da portare sarà meno pesante ».
Ti ringrazio moltissimo, Rebecca, per il tuo tempo e le tue preziose opinioni! Spero che possiamo tenerci in contatto e continuare a cooperare su questa importante questione. In bocca al lupo per l’ottimo lavoro che stai portando avanti!
[*Dall'introduzione all'edizione in francese del libro "Anna et la Mer".]
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