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martedì 11 giugno 2013

L'Impatto Di Schizofrenia, Depressione E Disturbo Bipolare Sulla Qualità Di Vita Dei Familiari: Due Studi

Ultimamente mi trovo a dover fare i conti con le conseguenze psico-somatiche dello stress prolungato a cui sono stata sottoposta negli ultimi tre-quattro anni, per varie ragioni. Al primo posto fra i fattori scatenanti vi è sicuramente la crisi maniacale di mia madre con tutto ciò che ne è conseguito. La tensione, il costante senso di allerta, l'ansia, il lutto seguito alla morte di mio padre qualche mese dopo, la perdita progressiva di tempo e spazio (soprattutto mentale) per attività piacevoli che mi aiutassero a ripristinare l'equilibrio psico-fisico e l'impegno che tuttora prosegue nel supportare mia madre, seppur a distanza, hanno avuto un forte impatto su di me. In aggiunta a tutto questo, come per molti altri nelle mie stesse condizioni, c'è anche tutto il resto di cui occuparsi, dal lavoro alla conquista e al mantenimento della propria autonomia, al trasferimento in una nuova realtà in cui impiantare le proprie radici. Molta carne al fuoco, cosa che, se da una parte dimostra la resilienza dei figli di pazienti psichiatrici, in grado di rinascere da situazioni estremamente difficili, dall'altra mi ha mostrato chiaramente quanto io ancora debba imparare sul prendermi cura di me stessa, della mia salute.

Per questo credo sia fondamentale divulgare informazioni che possano aiutare i caregiver dei pazienti psichiatrici a tutelare la propria qualità della vita facendo prevenzione, una parola bellissima che rappresenta una delle risorse più preziose che abbiamo a disposizione per evitare di raggiungere quel limite che, una volta, superato, rende molto più difficile ripristinare l'equilibrio. Ho così svolto una ricerca sul web che mi ha portato a trovare alcuni studi realizzati in Italia sulla qualità della vita dei caregiver, che vorrei farvi conoscere.

L'indagine di O.N.Da
Il primo è stato realizzato nel 2011 da O.N.Da, l'Osservatorio Nazionale sulla salute della Donna, ente di cui vi avevo già parlato nel post dedicato alla prevenzione nella depressione in gravidanza e nel post-partum. Lo studio si intitola: "L'impatto della psicosi schizofrenica sulla qualità di vita dei familiari e dei pazienti". A questo link potete consultare la brochure che sintetizza i principali risultati della ricerca:

http://www.ondaosservatorio.it/allegati/Progettiattivita/Pubblicazioni/quaderni/2013/Brochure%20psicosi%20schizofrenica.pdf

Qui, invece, sono pubblicate alcune slide con ulteriori informazioni scaturite dall'indagine:

http://www.sospsiche.it/fileadmin/users/fisam/pdf_files/IndagineSchizoOnda/Indagine20-38.pdf 

Vi segnalo infine un altro interessante documento, dal titolo: "PSICOEDUCAZIONE AI FAMILIARI DI PAZIENTI AFFETTI DA DISTURBO DELL’UMORE: POSSIBILE UTILIZZO DI CAREGIVER BURDEN INVENTORY (CBI) PER L’IDENTIFICAZIONE DELLA SPECIFICA AREA CRITICA DEL CAREGIVER", uno studio a cura di Linda Franchini, Carolina Redaelli, Magda Schiavo e Cristina Colombo, pubblicato nel 2012 all'interno della rivista "Psichiatria e Psicoterapia". Qui si parla dei familiari di pazienti affetti da disturbo unipolare e bipolare ed emergono molti nodi fondamentali:

http://www.fioriti.it/riviste/pdf/1/Franchini.pdf

Riporto di seguito alcuni passaggi che reputo di particolare rilevanza per i figli di pazienti psichiatrici (ma anche per gli altri familiari):

"Le ricerche in questa area hanno ripetutamente indicato che i parenti che si prendono cura di un paziente psichiatrico vivono uno stress considerevole e costante, e che la salute fisica dei parenti, nonché il loro benessere mentale può risultarne seriamente compromesso (Cuijpers e Stam 2000)"

"Impatto della malattia del paziente sulla famiglia

Per molto tempo è valso l’assunto secondo il quale era la famiglia con i suoi comportamenti la causa principale della malattia del paziente, ma negli ultimi tempi, questa convinzione è stata affiancata da un altro punto di vista secondo cui la malattia del paziente procura disagi ai familiari (Tantam 1989). Partendo da questa prospettiva, un numero sempre crescente di studi ha esaminato l’impatto che la malattia psichiatrica di una paziente ha sugli altri membri della famiglia (Dore e Romans 2001)."

"Carico del caregiver

Heru e Ryan (2004) definiscono il carico del caregiver come una misura delle difficoltà
soggettive e oggettive che riguardano la persona che si prende cura del malato, e il modo in cui la sua vita è cambiata dal punto di vita finanziario, psicologico e sociale a causa della malattia.
Possono essere distinti due tipi di carico del caregiver: il carico oggettivo riguarda i sintomi attuali e i comportamenti del paziente e le conseguenze di questi sul caregiver; il carico soggettivo riguarda invece le conseguenze psicologiche della malattia sul caregiver. I due tipi di carico sono tra loro associati, in particolare il carico oggettivo sembrerebbe incrementare quello soggettivo (Cuijpers Stam 2000).
Per quanto concerne nello specifico i Disturbi dell’Umore, non è ancora chiaro se sia più
faticoso per il caregiver affrontare un episodio maniacale o depressivo: sono stati trovati dati contraddittori su quanto influiscano sul carico gli episodi delle diverse polarità. Secondo Heru e Ryan (2004) i caregiver di pazienti con il Disturbo Bipolare esperiscono più carico e tensione, e minore senso di appagamento nel prendersi cura del membro della famiglia malato, rispetto ai caregiver di pazienti con la depressione unipolare. Una possibile spiegazione potrebbe essere che episodi maniacali o ipomaniacali, che presenta il paziente bipolare, abbiano sintomi più dirompenti e che il corso della malattia sia più caotico rispetto a quelli depressivi: il risultato di ciò corrisponderebbe al risultato ottenuto dell’aumento del carico percepito.
Contrariamente Perlick e collaboratori (1999) affermano che il “paziente lamentoso”, chiuso in sé stesso e irritabile, si associa a livelli particolarmente alti di carico del caregiver, dati che suggeriscono che gli episodi depressivi potrebbero porre un più grande carico sui parenti rispetto agli episodi di mania. Questi risultati sono confermati da Post (2005) che sottolinea come la depressione si associ a più alti tassi di disfunzionalità e mortalità del paziente rispetto alla mania, e che perciò impone un carico complessivo maggiore sulla famiglia del paziente rispetto alla mania.
Al di la della polarità dell’episodio, il carico del caregiver si pensa sia collegato, piuttosto
che alla diagnosi del paziente, a elementi come il suo livello di funzionamento (Hsaui et al. 2002) e alle credenze dei caregiver circa il fatto che i loro parenti abbiano il controllo sui loro sintomi o meno (Perlick et al. 1999). Infatti i livelli di carico percepiti dal caregiver diminuiscono notevolemente quando questo capisce che i comportamenti del paziente sono causati dalla malattia, e non dalla sua personalità (Heru e Ryan 2004). [...]"

 "Stigma

[...] Gli interventi che diminuiscono lo stigma legato alla malattia mentale potrebbero aumentare la probabilità che, quando necessario, i membri della famiglia cerchino supporto sociale, molto importante per la funzione che la situazione richiede al caregiver; al contrario i caregiver stigmatizzati potrebbero ritirarsi dall’ambiente sociale adottando delle strategie di evitamento nel tentativo di respingere anticipatamente imbarazzi o rifiuti, ma dal momento che il supporto sociale è protettivo rispetto alla ricorrenza della depressione, il ritiro da potenziali supporter nei termini di un adattamento alla stigmatizzazione, determina un ulteriore fattore di rischio (Gonzalez et al. 2007).
L’intervento psicoeducativo potrebbe contribuire a diminuire la stigma percepito, dal momento che questo trae la sua forza da pregiudizi e preconcetti relativi alla malattia. Uno degli obiettivi dell’intervento consiste proprio nello smontare le false credenze relative alla patologia, affinché lascino posto a un’adeguata informazione."

 "Salute fisica e mentale dei caregiver

Secondo Eisdorfer (1991) una delle più grandi sfide dell’ambito psichiatrico è quella di
capire come la salute mentale e fisica dei membri della famiglia sia influenzata dall’attività di caregiving quando questi iniziano a prendersi cura del parente affetto da una malattia psichiatrica.
Heru et al. (2005) affermano che il 72% dei parenti di pazienti con gran parte delle malattie croniche psichiatriche riportano sintomi depressivi, associazione che vale anche per i Disturbi dell’Umore. Probabilmente contribuiscono ad aumentare i livelli di depressione tra i caregiver elementi come lo stress che si genera affrontando una malattia psichiatrica cronica, e il dolore associato al fatto di avere un parente con questa malattia.
Nonostante il loro ridotto benessere, capita spesso che i caregiver non cerchino un trattamento per loro stessi. Alcuni fattori che potrebbero influire sulla scelta del caregiver di non interessarsi ad un possibile trattamento, sono lo stigma legato alle malattie mentali, oppure la percezione che, a confronto del paziente, loro non abbiano il diritto di lamentarsi. Anche la presenza di sintomi depressivi potrebbe impedire ai caregiver la ricerca di trattamenti per loro stessi, a causa della mancanza di energie e di motivazione dovute ai sintomi stessi. Inoltre i caregiver riportano che la loro salute e il loro benessere dipendono dalla salute dei loro parenti che sono in trattamento, e tendono quindi a minimizzare i loro sintomi e le loro difficoltà, dimostrando una carenza di bisogni percepiti che devono essere identificati (Heru 2005).
Alcuni studi hanno mostrato inoltre che i livelli di sintomi psicologici, in particolare depressivi, e le lamentele sulla salute, aumentano con l’aumentare dei livelli del carico percepito (Van Der Voort 2007).
È importante quindi considerare il carico del caregiver in quanto quest’ultimo può portare
ad una forte sofferenza ed inoltre la diminuzione dei disagi psicologici del caregiver stesso e della loro esperienza di carico, può condurre a dei miglioramenti anche nel decorso clinico del paziente (Perlick et al. 2005)."

"Rischio suicidario

[...] Chessick (2007) riporta che la presenza di indici suicidari nella storia di malattia del paziente sia pregressa che attuale, ha un impatto sull’esperienza del caregiver, determinando l’aumento del carico percepito e associandosi ad un peggioramento della salute del caregiver stesso.
Inoltre i pazienti con storie passate di tentativi di suicidio si associano con più alti livelli di carico del caregiver anche quando l’ideazione suicidaria attuale è minima o assente. Tali dati suggeriscono che il tentativo di suicidio di un membro della famiglia è un’ esperienza con un effetto duraturo sul caregiver, anche anni dopo l’evento.
Sarebbe quindi utile e necessario fornire alle famiglie dei pazienti degli interventi che riducano l’impatto negativo del comportamento suicidario per i caregiver. [...]"
Spero che queste informazioni possano essere utili a molti, sia alle famiglie che agli operatori che con esse interagiscono.

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6 commenti:

Anonimo ha detto...

Sono Anna, 29 anni, figlia di madre bipolare con una particolare predisposizione alle fasi maniacali a cui sono stati diagnosticati i primi sintomi psichiatrici quando aveva 18 anni. Ora ne ha 59.
Io ho un motivo in più da aggiungere alla lista delle cause che portano i caregivers a non prendersi cura di loro stessi. Il motivo è che vedono come vengono curati i loro genitori e non vogliono che venga riservato loro lo stesso trattamento. Purtroppo non potrei fare a meno dell'equipe che segue mia madre (psichiatra, infermieri e assistente sociale), ma trovo che il livello dell'intervento sia scarsissimo e mai e poi mai mi farei seguire dallo stesso servizio. Purtroppo il territorio non dà altra scelta, a meno che tu non possa permetterti uno psichiatra privato. Sto facendo delle sedute di supporto psicologico nella stessa struttura, ma è un'altra cosa (non può fare molto danno) e non posso permettermi di andare in terapia privatamente.
E su una cosa sono sicura, mai, mai e poi mai prenderò qualcuna di quelle pastiglie: antidepressivi, antipsicotici, roba per dormire.... mai. Mi rendo conto che non si può mai sapere e che possono veramente aiutare, ma per me il problema non è la sostanza in sè, ma è chi la prescrive, come la prescrive, che concezione ha del paziente, del proprio lavoro, dei suoi familiari.
L'altro giorno l'assistente sociale mi ha chiesto "Perché non mettete l'aria condizionata in casa, così la mamma se ne va meno in giro?". Mia madre non ha bisogno di essere presa per i fondelli così, mia madre ha bisogno che venga costruita attorno a lei una rete di sostegno e contenimento in modo che possa mantenere la propria autonomia il più a lungo possibile e che possa sviluppare e prendersi cura della propria socialità, per non sentirsi da sola.
Vorrei scrivere tante parolacce, ma confido nel fatto che capirete cosa intendo.
Ultima cosa: credo di averlo già scritto in un altro post, ma lo ridico: in 28 anni di esistenza nessuna delle persone che seguiva mia madre si è mai posta il problema che avesse una figlia e di come stava. Nessuna. Ho dovuto iniziare io a rompere loro le scatole. A chi si approccia per le prime volte con i servizi che seguono i propri genitori consiglio di farsi vedere, chiedere, cercare alleati (magari un infermiere con cui si va particolarmente d'accordo), cercare fonti di informazione diverse per controllare il lavoro che si sta svolgendo (in particolare per quanto riguarda la parte di assistenza sociale e non tanto quella medica) e dimostrarsi collaborativi (per evitare che la nostra parola perda subito di significato in quanto parenti rompiscatole).
Questo post, in cui dei professionisti prendono in considerazione il contesto familiare da cui viene la persona, sembra fantascienza. é anche importante, però, perché mi fa capire che non sono "strana" se mi sento stressata o giù di morale.
Grazie mille per tutto il lavoro che fai.
Mi dispiace, perché è da un po' che non ti seguo, ma ho visto che negli ultimi mesi hai aggiunto altri post... mi dispiace che ci siano pochi commenti... su, facciamoci sentire per sentirci meno soli!

Electric Ladyland ha detto...

Ciao Anna,

grazie per il tuo commento! Come ben scrivi anche tu, il vostro feedback è fondamentale per far capire che il nostro è un problema diffuso e che non si tratta soltanto di casi isolati. E' importante utilizzare questo strumento per far sentire la nostra voce. Perciò grazie a te e a tutti coloro che hanno scritto e che continuano a scrivere. Da soli si può fare poco, ma insieme si può arrivare lontano, credo molto nell'unione di persone guidate da uno scopo comune.

Capisco molto bene la sensazione di sfiducia che provi nei confronti del sistema che ha avuto ed ha in carico tua madre. E' quella che ho provato anch'io in tanti anni nel pensare al centro che seguiva mia madre e che era competente nella nostra zona. Spesso mi sono ritrovata a pensare che mai e poi mai avrei potuto rivolgermi a loro per un aiuto per me, laddove per tanti anni avevo notato così tante problematiche nella gestione del caso di mia madre. Questa, purtroppo, è una realtà comune a molti di noi... Col tempo, invece, mi sono trovata a constatare che altrove esistono servizi e professionisti che sanno prendersi cura della persona e della famiglia. Sono mosche bianche, perle rare, ma ci sono. E spero che sempre più si riesca a farle conoscere perché è importante coltivare la speranza che non tutto è perduto e che da ciò che c'è di buono si possa ripartire per costruire una società migliore per chi verrà dopo di noi.

La questione farmaci nel campo della salute mentale è molto delicata, e ammetto che alle volte pensare che un giorno potrei averne bisogno anch'io mi fa paura. Ma so che nel mio caso è una paura che nasce dalla sfiducia che le brutte esperienze vissute attraverso mia madre hanno prodotto in me. Altro fattore che sicuramente ha la sua parte in questo è un altro timore, quello che un giorno io possa trovarmi a soffrire della sua stessa malattia (o di una simile). Sono due paure che possono nascere nei figli dei pazienti psichiatrici e che, col dovuto supporto, si possono superare.Gli psicofarmaci, se prescritti in maniera accurata, salvano davvero la vita e so che se un giorno dovessi averne bisogno dovrei imparare ad (af)fidarmi. Alla base di tutto credo ci sia il rapporto di fiducia che si deve instaurare tra noi e il professionista a cui ci rivolgiamo per un aiuto. Noi, a differenza dei nostri genitori, abbiamo una carta in più da giocare a nostro favore, la consapevolezza.
Per questo credo sia importante che l'esperienza vissuta tramite i nostri genitori non sia un limite, ma diventi per noi una guida per fare in modo che, in caso di nostro malessere, non ci stanchiamo di cercare il percorso terapeutico (psicologico o di altra natura) più giusto per noi, senza fermarci al primo parere, ma ascoltandone diversi. E' importante che la storia dei nostri genitori non diventi il nostro unico metro di giudizio, impedendoci di trovare la soluzione al nostro disagio a causa delle tante delusioni e brutte esperienze vissute tramite loro.

I tuoi consigli sono preziosissimi e mi trovi assolutamente d'accordo. Spero che in tanti che passano di qua li leggano e possano trarne giovamento.

Sono felice che questo post ti abbia fatto sentire meno sola. E' lo stesso effetto che ha avuto su di me trovare questi due studi. Sto attraversando un momento delicato in cui il mio sistema immunitario, provato da uno stress prolungato, ha iniziato a ribellarsi, fortunatamente in una forma non grave, ma comunque fastidiosa. Questo mi ha portato a riflettere e a cercare risposte che mi dessero la prova che quanto vivo è la conseguenza di fatti concreti comuni a molti e non solo una mera particolare risposta personale alla mia situazione. Credo che questi studi siano un ottimo segno per noi e la spia che qualcosa si sta muovendo anche in Italia. Sono fiduciosa.

Un forte abbraccio,
Stefania.

kikky2004 ha detto...

Io sono chiara. figlia di mamma bipolare da 24 anni. e io di anni ne ho 27. da quando avevo 11 anni vivo solo con lei. Sono sempre stata insicura, paurosa, con l'autostima sotto i piedi etc etc.

Ho fondato un gruppo su facebook l'anno scorso, quando mia mamma per l'ennesima volta ha smesso la cura e da maggio a settembre mi ha fatta disperare e piangere ogni giorno che cristo mandava sulla terra. Per fortuna, indagando sulla rete, ho scoperto che la mia storia è persino poco grave, al confronto con altre...lei si è sempre occupata d me. troppo. ha smesso di lavorare prima di rimanere incinta, e si è dedicata a me "perché non aveva altra scelta" dice lei. E' sempre stata bipolare, ma io non lo sapevo. ora di anni ne ho 27, e da gennaio scorso, da quando, dopo avermi fatto passare un'estate del cavolo, è passata alla fase depressiva, e a gennaio è svenuta due volte perche faceva cure a caso curandosi da sola, qualcosa è cambiato. e cambiato che mi sono stufata, ma purtroppo non posso andarmene, perché non ho un lavoro fisso e perché da sola non me la sento ancora. E' cambiato perché ho capito che non posso rovinarmi la vita per lei e non averne una vita. Ma è dura. estremamente. Lei è stata tutto l'inverno a letto, e a maggio ovviamente ha iniziato a sclerare, come l'anno scorso. e ora siamo nel pieno delirio, o quasi. E io non ne ho piu voglia. sono stanca di dover stare dietro a una persona che è convinta di non aver MAI sbagliato nella sua vita (ha 67 anni) e che continua a distruggere la mia. Ma come ci si libera di questa cosa? di questa condanna? grazie, perché mi sento meno sola <3 sono io ad averti chiesto l'amicizia...

Electric Ladyland ha detto...

Ciao Chiara, benvenuta! Grazie a te per avermi scritto! Anche se come me hai sofferto e stai soffrendo ancora molto, sono felice di sapere che anche tu hai creato un gruppo di supporto.
Dispiace sapere che così tante persone si trovino a vivere situazioni simili alle nostre, allo stesso tempo è una grande opportunità poterci ritrovare grazie ad Internet. Fra noi ci si può capire, confrontare e sostenere e questo è impagabile.

Mi manderesti il link del tuo gruppo? Mi farebbe piacere iscrivermi. Ti aspetto nel mio!

Un forte abbraccio,
Stefania.

Anonimo ha detto...

Ciao, sono Liliana e ringrazio Stefania per tutte le informazioni utili che mette sul blog.
Pensa che 20 anni fa non c'erano tutte queste possibilità di condivisione e autoaiuto con internet. Sono da 20 anni in Italia e solo ora posso parlare liberamente perché ho maturato in me la consapevolezza della forza che mi ha dato il mio proprio malessere da figlia di padre bipolare, di sorella di fratello suicida e in seguito figlia di madre diagnosticata l'anno scorso schizofrenica perché sentiva voci, potrei dire ora che leggo quello che hai postato ed era anche una mia conclusione che la sua schizofrenia e avvenuta proprio perché non si è curata la depressione di caregiver di mio padre. Dopo la morte di mio fratello che ha sorpresso tutti mio padre peggiorava sempre di più la sua forma di prendersela con mia madre finché non faceva altro che minacciarla di continuo con la morte. Cosi io ho salvato lei, il salvabile e quando , dopo 7 anni di convivenza con lei nella mia nuova famiglia che ho costruito sempre nel tentativo di creare legami,lei si amallòperché non si voleva curare mi sono di conseguenza amalata anch'io. ho preso gli antidepressivi come alla faccia sua, un altro modo di farle coraggio per dimostrarle che sto bene con le medicine e andando dalla psicologa avrei avuto solo da guadagnare anche se a quei tempi pagavo 110 euro una seduta. Poi quando sono diventata povera perché rimasta senza lavoro per l'esaurimento nervoso ho capito che mi potevo curare anche nella CSM della zona e non importa che incontro persone del posto lì, anzi le guardo con curiosità ed ammirazione perché hanno la responsabilità della propria vita e dei loro familiari nelle loro mani e si prendono cura di loro con affetto. Imparare a prendersi cura di sé stessi lo saputo fare solo a 40 anni quando il mondo mi cadeva addosso perché anche mio figlio dava segni di sofferenza per aver immagazzinato tutta la mia sofferenza. Grazie a lui ho potuto capire tutto il mio disagio. Portando lui in terapia perché le maestre all'asilo mi dicevano che piange troppo, le maestre delle elementari mi dicevano che il pianto lo fa socializzare poco e contro il parere di tutti, anche contro la volonta del padre lo portato in terapia. La bravura della psicologa è stata quella di riuscire a portare me in terapia e dimettere lui.Racconto della mia esperienza perché in Romania 20 anni fa quando ti curavano il bipolarismo con gli electroshoc i medici consigliavano l'aborto nelle famiglie dove già esistevano dei figli di malatti psichiatrici,addirittura contro il regime totalitare di Ceausescu che era contro l'aborto.
Invece adesso con la consapevolezza della patologia, con un po' di attenzione sui sintomi, giusta informazione, metti un po' di antidepressivi e un po' di litio ci si può anche vivere da persone speciali, con un valore aggiunto. Prendersi il meglio della mania e riposarsi coccolati nell'intimita della depressione, e non pensate che non lo gustata abbastanza ma ho trovato un modo tutto mio, quello di condividerlo con le amiche facendole io loro da psicologa e come conseguenza della mia passione per la letteratura da biografa.
Un abbraccio a tutti e nella vostra compagnia non sarò mai sola, Liliana




























































Electric Ladyland ha detto...

Un abbraccio, Liliana!

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